Cultura

“Il nome della rosa” una storia che ci appartiene

Enrico Tedeschi
John Turturro nei panni di Guglielmo da Baskerville nella serie tv "Il nome della rosa"
Salvo sorprese, Giovinazzo, le Murge e Castel del Monte probabilmente non saranno nemmeno citati in questa serie tv il cui racconto si ferma, purtroppo, solo al 1327. Ma grazie a John Turturro comunque la Puglia c'è
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«Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova» così la celeberrima Agatha Christie. E così sarà subito apparso anche al noto storico don Gaetano Valente quando, analizzando antichi documenti relativi ad una lite tra la sua Terlizzi e la Diocesi di Giovinazzo, si è poi reso conto che il Vescovo di quest’ultima dal 1330 al 1333, William of Alnwick, altri non potesse essere che il fra Guglielmo di Baskerville che aveva ispirato “Il nome della rosa”. Cosa che non mancò certo di comunicare ad Umberto Eco, ricevendone immediato riscontro e congratulazioni. Salvo, però, che la cosa finisse lì, in attesa di qualche ulteriore prova che certificasse inoppugnabilmente ed una volta per tutte, dal punto di vista strettamente storico, la scoperta.

Prova che spuntò fuori solo nel 2002, durante il certosino lavoro di riordino e catalogazione del prezioso Archivio Diocesano di Giovinazzo da parte dell’appassionato storiografo locale Michele Bonserio: stiamo infatti parlando di una pergamena del 1333 a firma di «Symon de Anglia vicario di fra Guglielmo, vescovo di Giovinazzo» ed in grado, così, di mettere la parola fine ad ogni dubbio circa la reale presenza qui dell’eminente personalità descritta dal Valente, oltre che alla sua totale corrispondenza con il protagonista del libro di Eco.

Pergamena alla quale ebbe pure modo di accennare, sempre il Bonserio, all’attore e regista americano John Turturro, durante la sua breve visita nel 2010 all’incantevole centro storico della cittadina (Giovinazzo) che aveva dato i natali a suo padre Nicola, cui peraltro aveva già dedicato, nel 1992, la sua premiatissima opera prima «Mac». Più che probabile, perciò, che lo spunto per un remake del “Il nome della rosa” , il film cult sul Medioevo di Jean-Jacques Annaud, sia nato così, per poi potersi arricchire di una diversa caratura al personaggio chiave del libro di Eco, naturalmente alla luce della sua vera identità storica.

Una verità che forse ci regalerà anche qualcosa, considerando la solida fama di sceneggiatori e del regista, Giacomo Battiato, che, da quel poco che si è già visto, hanno sicuramente studiato quel «Guglielmo l’Inglese» (o meglio di Alnwick) che, per inciso, fu una delle più rilevanti figure culturali del suo tempo e del Mondo allora conosciuto.

Peccato solo che la storia poi si fermi ad un fatidico 1327, e cioè tre anni prima dei fatti che ci riguardano direttamente, e quindi del suo arrivo in Puglia. Dunque una grande occasione persa per noi, e non certamente per colpa degli autori della serie, ma di una cultura sempre bistrattata, perennemente in ritardo ed a cui sono poco attenti tutti, istituzioni in primis.

Fosse stata resa nota prima, come meritava la scoperta del Valente, probabilmente trama e sceneggiatura attuali sarebbero state ben diverse. Ora non ci rimane che sperare in un qualche rimando o anticipazione dell’epilogo maturato, nel XIV secolo, nella piccola, ma tormentata diocesi di Giovinazzo.

Un accurato racconto attraverso otto episodi in 4 puntate, questo riproposto “Il nome della Rosa” che, a cominciare dalla prima di ieri sera, si sta rivelando un vero e proprio viaggio in un tempo remoto ricostruito sin dei minimi dettagli con altrettanta, consumata pignoleria alla Annaud. Occhi aperti dunque su RAl 1 poiché, al di là delle azzeccate location (in parte ricostruite negli studios di una Cinecittà che sembra quasi tornata ai fasti mondiali di un tempo) e di qualche eventuale accenno nel copione, resterà comunque in tutti la consapevolezza che vi è anche una Puglia “ombelico del Mondo”nel Medioevo, per quanto sottesa alla narrazione, in ciò che vedremo in tv con un cast eccezionale e per una diffusione davvero planetaria.

Una tessera importantissima, in ogni caso, per la composizione di quel mosaico di assolute meraviglie che, se completato, potrebbe rilanciare Giovinazzo e l’antica Terra di Bari a livelli impensabili.

Chi, in questo senso, ci ha pensato per primo è stato Vittorio Sgarbi, portando ad un EXPO ben due suoi immensi capolavori; mancano però ancora alcuni tasselli essenziali all’appello, a cominciare dalla santificazione in loco del Beato giovinazzese Nicola Paglia, cofondatore con S. Domenico di Guzman dell’ordine che da lui prende il nome. Compiti questi, a seconda dei vari casi, di Chiesa e politica, ma anche di una comunità che forse non ha ancora ben compreso come la Cultura sia senza meno il più poderoso strumento di promozione turistica che esista.

Una riflessione che non guasterebbe di sicuro alla stupenda Giovinazzo, esattamente al centro di una Puglia in pieno boom di visitatori e già ridefinita, pure quest’anno, “la regione più bella del Mondo”. Anche un appello ad investigare ulteriormente sulla fine di Guglielmo di Alnwick, per il momento non ci resta che goderci quell’annunciato capolavoro che andrà in onda anche nelle prossime settimane. Ed anche se non ci saranno le riprese mozzafiato che sarebbero state possibili con il «Castel degli Ursini…Castel dal Monte» citati nel libro, né delle intatte Murge che li circondano, un grazie allo straordinario John Turturro che già da solo, e con l’inequivocabile cognome che porta, è il miglior ambasciatore di Giovinazzo e della Puglia nel Mondo che si potesse desiderare.

mercoledì 6 Marzo 2019

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