È già passato un anno da quando a causa della pandemia la quasi totalità delle realtà produttive italiane ha dovuto sospendere o ridurre notevolmente la propria attività d’impresa.
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E da subito è parsa evidente la disparità di trattamento che si è venuta a creare tra titolari di partite iva e lavoratori subordinati, perché nei confronti dei primi sono stati attuati provvedimenti assolutamente inefficienti come i 600 euro una tantum dello scorso anno o i ristori dell’anno in corso, di importi assolutamente modesti ed erogati anche con notevole ritardo.
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Tra i secondi invece ci sono stati i lavoratori della pubblica amministrazione che hanno continuato a percepire le proprie competenze economiche per intero e quelli del settore privato, circa l’80 per cento della forza lavorativa italiana, ha dovuto scoprire lo strumento della cassa integrazione.
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Questo strumento, utilizzato in tutto il mondo a favore dei lavoratori sospesi dall'obbligo di eseguire la prestazione lavorativa o che lavorino a orario ridotto, in Italia è gestito dall’INPS, che si occupa di rimborsare le aziende o di pagare direttamente una parte degli stipendi dei lavoratori.
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Fin da subito è stato evidente il ritardo nell’erogazione delle somme di cassa integrazione, in merito ai quali l’INPS si è giustificata dicendo che gli attuali strumenti utilizzati erano stati progettati per gestire un numero di richieste infinitamente inferiori e che mai prima d’ora è accaduto che l’intero settore produttivo dell’intero Paese ricorresse contemporaneamente a misure di sostegno al reddito.
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A ciò si aggiunge che non esiste un ammortizzatore sociale unico ma una pluralità ed estrema eterogeneità di strumenti messi a disposizione per l'emergenza, con notevole aggravio di costi e tempistiche.
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In definitiva l'impianto di strumenti messo a punto per fronteggiare l'emergenza si è dimostrato largamente inefficace per offrire quella rapidità di risposta, elemento essenziale a garantire un'effettiva tutela dei lavoratori.
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Per ovviare a ciò è stata prevista fin dallo scorso anno la possibilità di richiedere l’anticipazione del trattamento da parte dell’INPS nella misura del 40%, nonché la possibilità che l’ABI, l’associazione che rappresenta le banche, anticipasse alle imprese la liquidità necessaria a pagare la cassa integrazione in attesa dei rimborsi dall’INPS, ma in quest’ultimo caso le banche sono state restie a mettere in pratica gli accordi e solo in pochi casi è stato attuato l’anticipo.
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Dal quadro sopra esposto emerge, pertanto, l’impellente necessità di garantire da un lato un quadro normativo stabile e di immediata comprensione, dall’altro procedure semplici in grado sia di semplificare le modalità di presentazione delle istanze sia di accelerare l’erogazione delle prestazioni da parte dell’istituto.
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Se a ciò si aggiunge che a dicembre 2020 ben 73 mila imprese hanno chiuso e 17 mila non riapriranno più, ci si domanda cosa accadrà quando verrà meno il divieto di licenziamento e le aziende non potranno più ricorrere agli strumenti di sostegno al reddito?
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