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L’Elzeviro | La processione dei Misteri e la felicità

Damiano Nirchio
I riti di Pasqua
"A me piace… Ci vado con mamma, papà e mio fratello più piccolo. Quando passano le statue mamma ci spiega tutta la storia. E io mi sento felice anche se le statue raccontano una storia brutta"
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“Allora ragazzi, oggi è l’ultimo giorno che ci vediamo prima delle vacanze di Pasqua…”

Ogni volta mi chiedo se ragazzi è la dicitura giusta: fanno la seconda media e non sono più proprio bambini, eppure a chiamarli già così mi sembra un po’ di rubargli qualcosa. Mi guardano seduti nei loro banchi e non fanno una piega, ci mancherebbe: a mettersi ad ascoltarli si scopre che qualcuno tra loro sente già di avere il mondo in pugno e qualcun altro, invece, sostiene di sentirsi dal mondo sostanzialmente incompreso. Io mi sono sentito in entrambe le maniere molti anni dopo; alla loro età pensavo in continuazione alla mia collezione di costruzioni Lego, ad una piccola Ferrari rossa che facevo saltare giù dalla scrivania, al colore di cui ridipingere per l’ennesima volta la bicicletta e, al massimo, scrivevo piccole poesie per le mie cugine perché avevo sentito da qualche parte che da giovane lo aveva fatto Leopardi. Quest’ultimo e Michel Platini erano i miei miti dell’epoca, per ragioni differenti ma innegabili. Quando la carriera calcistica del secondo pian piano sfumò, mi rimase solo il primo.

“Immagino che sarete contenti di non venire a scuola per un po’… Che farete di bello?”

Piovono una serie di “Niente!”, qualche “A giocare alla Playstation”, tre o quattro “Andremo a trovare i nonni…”, moltissimi “Mangeremo!” – qui seguono molte risate -, poi per fortuna tanti “In campagna…”, “Al mare…”, infine una ragazzina timidamente “A vedere i Misteri…”. Anche qui tante risate, ma un po’ diverse. Chi aveva parlato torna silenziosa e ricaccia la testa dentro le pagine del suo diario aperto in mezzo a tante penne colorate. Provo a riportarla immediatamente tra di noi dicendo “I Misteri? Bellissimo. Anche io, se il lavoro me lo permette, vado sempre a vedere questa processione.”

Le voci si diradano un po’ e si alza un’altra mano.

“Dimmi.”

“A me i Misteri non piacciono.”

“Benissimo. Non devono piacere per forza. È una cosa molto personale, legata anche alla religione o alle tradizioni. Ci sono tante tradizioni che anche a me non fanno impazzire.”

Non ha finito, glielo leggo nello sguardo, ho avuto già modo di conoscere quell’espressione e quegli occhietti: appartengono ad un “ragazzo” che, se fosse nato a metà degli anni settanta, ora avrebbe certamente scritto poesie per le cuginette. Infatti eccolo che rialza la mano. Gli faccio cenno che può parlare. Ora tutti i compagni sono in silenzio e lo guardano.

“Non capisco perché portare in giro la statua di un morto pieno di sangue appeso ad una croce… O di una signora vestita di nero con un coltello conficcato nel cuore. Sono cose brutte. E poi sono cose vecchie che piacciono solo ai vecchi. E poi sono finte. Perché? Basta accendere la televisione o aprire facebook e si sentono già tante cose brutte… ma vere. Che motivo c’è di fare una processione così?”

Ha finito. Ha abbassato la mano. Sinceramente soddisfatto come un giovane soldato che ha tirato una delle sue prime bombe a mano in campo nemico. Quello degli adulti. La classe intera lentamente si volta a guardarmi. Certamente per godersi gli effetti dell’esplosione su di me. In fondo all’aula una giovane insegnante di sostegno mi guarda scrollando impercettibilmente la testa come a dire “E bravo… Ora buona fortuna…”.

Organizzo velocemente le idee, ma non mi viene in mente nulla di sensato da dire: il mio curriculum controverso di credente m’impedisce d’improvvisare un qualsivoglia sermone sul tema e l’esegesi sull’importanza del rituale simbolico a livello personale e sociale è un dibattito forse troppo prematuro. Ma in qualità di soldato veterano ho l’esperienza dalla mia parte e così metto in campo un classico della pedagogia che non mi ha mai tradito e dico: “Vorrei che a questa domanda provassimo a rispondere tutti insieme. Che ne pensate?”

Silenzio.

Il giovane soldatino è l’unico che non guarda altrove e gongola visto che nessuno pare avere argomenti utili a confutare la sua tesi. Comincio a chiedermi come uscire vivo da questa situazione spinosa, magari senza fare danni educativi o ritrovarmi l’indomani a fronteggiare famiglie furiose perché molto credenti o molto atee.

Finché si rialza una manina. È quella della ragazzina che ha risollevato la testa dal suo diario su cui stava facendo dei disegni. Le do subito la parola sperando in uno stimolo salvifico.

“A me piace… Ci vado con mamma, papà e mio fratello più piccolo. Quando passano le statue mamma ci spiega tutta la storia. Io la so a memoria perché la dice ogni anno e poi perché la leggiamo a scuola e poi al catechismo. Però mamma si emoziona sempre quando arriva l’Addolorata e mi sento anche io emozionata a sentire che la mamma è emozionata. Mio fratello vuole che mio padre gli ripete sempre tutto e siccome non vede – perché è piccolo – allora vuole sempre salire sulle spalle di papà e poi non vuole più scendere. Allora dopo la processione andiamo insieme al bar a prendere il gelato e solo allora mio fratello scende e fa riposare mio padre. Poi è bello perché non fa più tanto freddo e possiamo fare una passeggiata e spesso trovo le mie amiche –“ alcune ragazze della classe la guardano e annuiscono “- e allora poi posso andare con loro stare un po’ in giro perché il giorno dopo non si va a scuola. Poi torniamo a casa. E io mi sento felice anche se le statue raccontano una storia brutta. Non lo so perché… Però è così.”

Sono salvo. Sono già lì a darsi appuntamento o a ricordare il gusto del gelato dello scorso anno.

Avrei voluto dire alla ragazza del diario, al giovane agnostico e a tutti loro, da adulto inutilmente complicato, che la stessa cosa succede anche a me. Alla fine mi sento un po’ più felice. E che, se esistono i miracoli, quello che avviene ne è uno: un po’ di Felicità in cambio del Dolore.

La Vita per la Morte.

Pare che la Passione di Cristo sia proprio questo.

Ma io non lo so.

Mi basta sentire dentro me, ogni anno, l’eco di quel miracoloso baratto.

lunedì 22 Aprile 2019

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