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Michele Bonserio, il mistero di Guglielmo da Alnwick e la lettera della regina Elisabetta II

Nicola Palmiotto
Il balcone dell'archivio diocesano
Dietro il frate inglese vescovo di Giovinazzo si cela il protagonista de "Il nome della rosa"? Storia dell'archivista diocesano e della scoperta pergamena del 1333
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Uno dei balconi più belli di Giovinazzo è quello dell’archivio diocesano, a picco sul mare blu di cala Porto. Tanto suggestivo che don Tonino Bello ogni tanto nelle serate d’estate veniva proprio qui a guardare il tramonto. Accanto a lui c’era Michele Bonserio. «Momenti indimenticabili, parlavamo di tutto», racconta il responsabile da quasi 40 anni dell’archivio, uno scrigno che racchiude tesori preziosi del patrimonio storico e documentale della città.

Oggi l’archivio, situato accanto alla Cattedrale nei locali dell’ex palazzo vescovile, è un posto in cui molti studiosi si affacciano per vedere da vicino documenti ben ordinati e catalogati. Ma nel 1979 era  un coacervo di carte sparse conservate alla rinfusa tanto che il vescovo dell’epoca minacciò di trasferire tutto a Molfetta. «Mi trovai investito di questo compito quasi per caso ma non potevo tirarmi indietro – ricorda Bonserio-. Grazie all’aiuto di Gianni Pansini e della Pro Loco ho cominciato a mettere in ordine, catalogare e soprattutto salvaguardare il patrimonio delle pergamene, oggi restaurato nella sua quasi interezza».

L’archivio custodisce i documenti della diocesi a partire dall'XI secolo, tra cui spiccano i registri della parrocchia Cattedrale, i manoscritti musicali di Filippo Cortese, sette preziosi antifonari in pergamena del ‘700 dei frati del convento di San Domenico ed una collezione di circa 2000 pergamene, la cui più antica risale al 1050.

I documenti del fondo pergamenaceo sono talmente preziosi che quando Bonserio li mostra sembra stia toccando qualcosa di vivo. «Quando cominciai a riordinare l’archivio mi resi subito conto del valore delle pergamene». Non è un caso che tra di esse si nasconde uno dei più intriganti documenti della storia di Giovinazzo.

Il mistero svelato di frate Guglielmo da Alnwick
Nel 1988 don Gaetano Valente, un prete terlizzese, consultando i testi di storia della chiesa portò alla luce il personaggio realmente esistito di frate Guglielmo da Alnwick, vescovo di Giovinazzo tra il 1330 e il 1333. Valente ipotizzo che dietro questa figura si potesse nascondere Guglielmo da Baskerville, protagonista del romanzo di Umberto Eco “Il nome della Rosa”. Il sacerdote provò a mettersi in contatto con il professore e, a suo dire, riuscì ad avere un breve colloquio, in cui Eco si disse incuriosito da questa storia ma che poi non ebbe più alcun seguito.

Anche perché all’epoca non c’era una fonte diretta che provasse che Guglielmo l’inglese fosse veramente stato vescovo di Giovinazzo. La prova inconfutabile l’ha trovata Michele Bonserio nel 2002, studiando una pergamena restaurata, la numero 48 del 1333. Si tratta di un’autorizzazione ad erigere una cappella, concessa da Symon de Anglia vicario, come si legge nel documento, di frà Guglielmo vescovo di Giovinazzo.

«La pergamena è enigmatica: porta il numerale dell’anno ma non il giorno e il mese in cui è stata rogata – spiega Bonserio-. La mancanza della data ci riconduce agli inizi del 1333 non oltre marzo. Perché nel marzo si tengono le ultimissime orazioni di frate Guglielmo che, secondo alcune versioni storiche ma non ancora documentate, pare sia stato fatto giustiziare ad Avignone. Il vuoto fu lasciato volutamente dal rogatario perché sperava in un ritorno di frate Guglielmo, ritorno che non avvenne mai».

Guglielmo, maestro di sacra teologia e in questo simile al personaggio del romanzo, era un frate scomodo, spesso in contrasto con la curia pontificia dell’epoca; forse per questo motivo finì a Giovinazzo, una piccola diocesi di provincia lontana da Roma, grazie peraltro alle pressioni di re Roberto d’Angiò. Evidentemente questi contrasti non cessarono e anzi si acuirono tanto che Guglielmo fu probabilmente costretto a fuggire da Giovinazzo portando con sé molti documenti e trovando la morte poco dopo.

Secondo Bonserio però la prova del collegamento tra frà Guglielmo e il personaggio di Eco può essere asserita solo per esclusione: «All’epoca non c’erano molti frati francescani inglesi in Italia».

La lettera a Sua Maestà Elisabetta II
Esiste un altro curioso episodio intorno al personaggio di frate Guglielmo. Nel 1999 e poi nel 2000 l’allora assessore alla cultura Maria Antonietta Logiudice, affascinata da questa vicenda, fece stampare dei calendari con l’effigie del frate. «Alla Logiudice venne un’idea molto bella, quella di inviare i due calendari alla regina Elisabetta II, io custodisco nell’archivio copia della sua cortese risposta».

A meno di clamorosi sviluppi al momento la relazione tra Guglielmo di Alnwick e il personaggio del “Nome della rosa” non può essere rafforzata da ulteriori prove. Nella vicenda resta però il ruolo chiave giocato dai documenti custoditi dal’archivio. Una miniera diventata patrimonio della città grazie all’opera di Michele Bonserio: «Non mi pento di quello che ho fatto anche se mi è costata tanta fatica».

L’eredità di Michele Bonserio
Bonserio non sarà l’ultimo degli archivisti perché dopo di lui ce n’è pronto già un altro: «Per fare questo lavoro c’è bisogno di passione per lo studio della storia locale e amore verso il nostro patrimonio storico e documentario. Tempo fa venne qui un ragazzino si chiamava Diego De Ceglia. Oggi quel ragazzino è diventato un uomo e a lui toccherà raccogliere la mia eredità. Io mi auguro di aver fatto centro».

mercoledì 2 Marzo 2016

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