Cultura

Teatro Diffuso, stasera si chiude con Corradino

La Redazione
Roberto Corradino
La terza edizione della rassegna ha registrato sempre il tutto esaurito
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Si chiude stasera la vincente e avvincente stagione di Teatro Diffuso a Giovinazzo, la rassegna che ha portato la magia del palcoscenico all’interno dei locali del Vecchio Caffè, storico locale della Piazza.

Grazie all’impegno del Vecchio Caffè e della compagnia giovinazzese Senza Piume, per 7 settimane Giovinazzo ha avuto la sua piccola sala di teatro ricavata nella sala del caffè, registrando il “sold out” ogni sera.

Una serie di spettacoli molto ndiversi tra loro per stile e tematiche, ma accomunati dall’esperienza ndel tutto particolare per attori e spettatori, che si sono ritrovati nmolto più a contatto di quanto normalmente avviene durante una messa in nscena di tipo tradizionale.

A chiudere il ciclo “Questi nFantasmi”, anticipato eccezionalmente al giovedì per questa settimana, nsarà l’attore e autore barese Roberto Corradino con il suo Skàuschê (il film di Michele),n spettacolo prodotto insieme alla compagnia Reggimento Carri tratto da nuna storia vera della metà degli anni ’70, attorno allo scandalo della n”tratta dei calzoni corti”, il mercato secolare di affitto e ncompravendita dei ragazzini condannati destinati a fare i pastori sulla nMurgia.

Skàuschê,n in dialetto murgiano, significa scheggia, bruscolo, pagliuzza cosa da nniente, nullità. Lo spettacolo è la storia di un ragazzo “in affitto” ncondannato, da un costume secolare, a fare il pastore, la storia di nuna lingua che si estingue, di una terra che viene rivoltata, di una npietra che non suona più. È l’ultimo ululato alla vita un “cane di njazzo”, i cani dei pastori murgiani. Perché quando si muore, si muore inn dialetto. Come ha dichiarato Corradino, “è un film, che vorrò fare, per la memoria di M.C. Dove nEmme sta per Miseria e Ci per Cosìvailmondo”.

“Una storia di un passato recente, di una solitudine ncosì profonda da trasformarsi in tragedia, una storia talmente tanto nvera e vicina da divenire una tragica favola agli occhi dello nspettatore. Così l’attore ci parla di “Iangelino”, del suo ntransistor, del massaro, del padrone, delle mazzate, di Caterina la npecora sorridente, delle ingiurie ricevute dai propri compagni rimasti nnei piccoli paesi e non diventati “pastaur”, della solitudine più vera en profonda di un giovane uomo condannato alla sorte di un mestiere che nnon resta tale, un mestiere che ti cuce una pelle dura e nuova sulla ntua, t’impedisce di camminare e parlare come gli altri; e poi ci parla npure delle feste, degli agnelli ammazzati e arrostiti, della mietitura, ndei soggetti del paese, delle stratificazioni sociali maschili ngerarchizzate come una piramide disegnata a terra all’interno di una npiazza fra la chiesa e la cantina”.

Uno spettacolo che garantisce emozioni forti per chiudere il sipario su questa bella esperienza cittadina, che ha dimostrato che la sete di cultura è tutto tranne che latente.

giovedì 13 Aprile 2017

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