Attualità

In prima linea accanto ai poveri e agli ultimi, la missione del Centro Caritas di Giovinazzo

Nicola Palmiotto
Il Centro Caritas di Giovinazzo
La referente Rosa Serrone: «Sempre più i senza fissa dimora. Molti gli impoveriti come esodati, famiglie divise e malati del gioco d'azzardo»
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«Non amiamo a parole ma con i fatti». Uno dei luoghi più adeguati per capire il senso del titolo scelto dal Papa per la prima Giornata mondiale dei poveri, in programma domenica prossima (stasera alle 20 in Cattedrale è prevista una veglia di preghiera e sensibilizzazione), è forse il Centro Caritas cittadino di Giovinazzo. «Ma io mi auguro che i cristiani facciano proprio questo messaggio e aiutino i poveri ogni giorno», afferma Rosa Serrone referente del Centro che, insieme ad altri 30 operatori volontari, presidia uno degli avamposti diocesani (a Giovinazzo sono attivi anche i punti di ascolto delle parrocchie) dedicati ad ascoltare gli ultimi. Nel Centro cittadino di via Marco Polo, che ha aperto i battenti nel 2003, si presta servizio ai minori, con doposcuola, attività ricreative e laboratori durante le vacanze e le feste, si rifornisce di vestiario chi ne ha bisogno e inoltre si ascoltano quanti chiedono una mano per tirare avanti.

«I poveri di oggi sono i passanti – spiega Serrone -, prima non ne vedevamo tantissimi ma oggi sono sempre di più. Ognuno ha la sua storia particolare, come la famiglia rumena che non sapeva dove stare perché c’era un componente che faceva la chemio all’ospedale di Bari. Poi ci sono i poveri abituali: i cittadini giovinazzesi senza reddito, quelli che vivono di lavori saltuari e che hanno bisogno di una mano per l’affitto, le bollette, i buoni mensa per i figli o per le spese sanitarie, come gli occhiali».

I NUMERI Questa ultima fascia rappresenta circa un terzo di coloro che si rivolgono al Centro Caritas cittadino. Nel 2016 è stata prestata assistenza a 1112 persone, la metà dei quali erano italiani. Nella quasi totalità dei casi cercavano un aiuto economico, due terzi di loro un lavoro (solo due di loro l’hanno anche trovato) e un terzo un aiuto per la casa o le spese. Sono stati 254 i sussidi economici concessi e 812 le forniture, 6181 i pezzi di vestiario e 5487 i beni alimentari distribuiti più i buoni spesa e farmaci del Banco farmaceutico. 120 infine le famiglie assistite dalle parrocchie.

«I vestiti ci arrivano dalle persone che li smettono – racconta la referente del Centro -, altre volte dai negozi che chiudono, o da beni sequestrati dalla Guardia di Finanza. I capi di abbigliamento sono richiesti per lo più dagli stranieri e dai senza fissa dimora; in questo periodo per esempio dai lavoratori stagionali impegnati nella raccolta delle olive, che ci chiedono biancheria pulita ma anche la possibilità di lavarsi, noi infatti abbiamo un servizio doccia di emergenza. I generi alimentari provengono dal Fead, il fondo europeo di aiuti agli indigenti. Il budget mensile ci arriva dall’8xmille e da lasciti privati, ma anche dall’attività di associazioni come Led e i Nipoti della Nonna».

I destinatari di questi aiuti sono spesso gli impoveriti, coloro che hanno subito gli effetti della crisi economica. «Ma ci sono – assicura Serrone – anche gli esodati, le persone che sono fuori dal mondo del lavoro da oltre 10 anni, le famiglie divise che non reggono con le scarse entrate, quelli che campavano con una pensione minima ma si ammalano e non ce la fanno più e i malati del gioco d’azzardo patologico».

OGNUNO PUÒ FARE LA SUA PARTE Una parte importante del lavoro del centro cittadino è quello che viene fatto con i minori. Come dimostra la storia di Marco (nome di fantasia) un bambino di colore di sei anni vittima dei pregiudizi. «Ci ha raccontato – rivela – che al parco lo prendevano in giro, qui in mezzo ad altri bambini, ognuno con le proprie origini e la propria storia particolare, sta trovando la sua dimensione. Noi speriamo che questi bambini possano avere una vita migliore delle loro famiglie, ma serve che i cittadini si aprano all’inclusione. Invece le logiche che ormai la fanno da padrone in Italia vanno invece in tutt’altra direzione. Come diceva don Tonino Bello bisogna mettersi dentro l’occhio del povero, capire le loro esigenze e i loro bisogni. Ma anche Giovinazzo deve essere più solidale: fino a poco tempo fa c’era una tradizione di solidarietà nel vicinato che si sta ormai perdendo. Nessuno di noi può salvare il mondo ma ognuno può fare la sua parte».

venerdì 17 Novembre 2017

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