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Il Guglielmo di Giovinazzo è quello di Baskerville di Eco

La Redazione
Guglielmo di Giovinazzo è Guglielmo di Baskerville
L'intervento di Enrico Tedeschi, alla vigilia delle riprese della fiction con John Turturro, sulla vicenda dell'identificazione del personaggio storico con quello del romanzo "Il nome della rosa"
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Pubblichiamo l’intervento di Enrico Tedeschi sulla vicenda dell’identificazione della figura realmente esistita di Guglielmo di Alnwick, vescovo di Giovinazzo, con quella di Guglielmo da Baskerville, personaggio del romanzo “Il nome della rosa” di Umberto Eco.

Di “un bel tacer non fu mai scritto” (né tantomeno pubblicato)

Stonehenge, “un falso costruito con le gru”, come certificato addirittura dall’Università di Cambridge, ma che fa circa un milione di visitatori l’anno e con un indotto economico da paura nonostante le visite contingentate, le difficoltà per arrivarci e la delusione registrata da molti che ci sono andati. Solo un esempio di un lungo elenco, che va da “Il mostro di Lochness” al “Castello di Dracula” in Transilvania, che dimostra in modo più che evidente come le leggende possano facilmente trasformarsi in occasioni preziose per costruirvi intorno una fortuna turistica e dare, così, una sicura attrattività a posti che altrimenti avrebbero poco, se non nulla, di veramente importante da dire. Una necessaria premessa, questa, per spiegare il titolo di questo paragrafo del nostro articolo, scritto in risposta a quello appena pubblicato sul nostro mensile cittadino (La Piazza, ndr) che, va pur specificato, ha spesso eccellenti lettori non soltanto locali: un pezzo – quello che adesso ci costringe ad una articolata e complessa replica – in cui si è dato spazio ad una precisazione sulla non possibile identificazione tra il Guglielmo di Baskerville de “Il nome della Rosa” di Umberto Eco con il vescovo di Giovinazzo Guglielmo di Alnwick, della cui presenza e ruolo qui lo storico terlizzese Gaetano Valente fu lo scopritore. Al di là della misurata risposta già data all’epoca all’ articolo di padre Valente dal giornalista Giacomo Annibaldis, alla fin fine cui prodest tanta “puntigliosità” nel momento in cui, vivaddio, una serie tv, e con una star internazionale come nientemeno John Turturro nei panni del famoso frate inglese, va a rilanciare a livello mondiale anche l’immagine della città natale di suo padre Nicola? Ciò cui ci stiamo opponendo è un inspiegabile e gratuito intervento in difesa della Storia – senza che il suo autore ne abbia chiaramente approfondito più di tanto temi e implicazioni – per cui, se prese per vero le affermazioni del conterraneo di padre Valente pubblicate su La Piazza, si potrebbe rischiare di rimettere in discussione tutto. Ivi compreso il lavoro degli storici ed appassionati locali che stanno per vedere finalmente premiati i loro sforzi con il riconoscimento ufficiale di una verità che ora potrà essere resa nota a tutti nel modo più efficace ed universale che esista: grazie anche alle riprese, cioè, del contesto fisico in cui sono maturate le storiche vicende finali di fra’ Guglielmo e che rilanceranno non solo l’immagine di Giovinazzo, ma anche di una Puglia straordinaria nella sua bellezza senza tempo: impensabile, infatti, non possano esserci inquadrature al «Castel dal Monte» (citato nel libro insieme a quello «Ursino») incastonato nella “Murgia dei falchi” e delle mille grotte, come quella di medievale devozione di San Michele a Minervino Murge o quelle annesse alla imponente Masseria dei Templari in località Grottarelle a Spinazzola. Solo un esempio, volendo anche ragionare in termini di economia di spesa, tra le infinite location in zona, e già pronte per un fatidico ciak con ciò che ancora conservano d’antico, i tanti tratturi restati intatti nei secoli e una campagna inviolata e ricca di animali selvatici e greggi, ora come all’epoca. E comunque quanto costerebbe, in fin dei conti, alla produzione ricostruire in studio esterni come i tratturi intatti, o una campagna com’era all’epoca e ricca di animali selvatici e greggi come la nostra Murgia? Tornando in tema, per comprendere fino in fondo l’ordine di grandezza delle cose, riferendoci oltretutto ad una grande produzione televisiva destinata al mercato mondiale, stiamo parlando di un già collaudato strumento di promozione che ha funzionato benissimo anche per alcune zone misconosciute o poco sfruttate per quello che avevano: basti pensare allo strepitoso boom turistico “di ritorno”, senza andar neanche lontano, di alcune realtà della nostra stessa provincia a séguito delle cinque puntate di Beautiful andate in onda in tutto il mondo tempo fa: una forma di marketing territoriale che, per di più e nel nostro caso, raggiungerebbe il target perfetto per quel turismo colto e destagionalizzato che, a detta dei tecnici, è il sogno e l’ambizione di ogni operatore o programmatore del settore. Tutte ragioni pratiche, queste appena esposte, che già da sole avrebbero dovuto indurre chiunque ad un silenzio di prudenza, se non di convenienza, sulla scorta di un dato già praticamente acquisito da tutti – che il Guglielmo di Baskerville e quello di Alnwick sono personaggi sovrapponibili – che potrebbe rischiare di essere compromesso da una polemica che non poteva, né doveva essere innescata in questo momento e considerando la posta in gioco. Ma così non è stato. E la cosa ancor più paradossale, attraverso la affermazione di una tesi che, come vedremo, stride assolutamente con una verità storica che dimostra inequivocabilmente come le possibilità che il personaggio romanzato di Eco e quello realmente esistito non siano la stessa persona sono, senza ombra di dubbio, così minime da essere pressoché inesistenti.

La verità è già nelle pagine del libro di Eco

Anche ad uso e consumo, sperandolo superfluo, degli sceneggiatori della serie tv che si sta realizzando, cerchiamo di riassumere il più sinteticamente possibile il perché della precedente affermazione, anche alla luce delle nostre ricerche e di quanto lo stesso padre Gaetano Valente – in un documentabile incontro con lui, in vista di una possibile pubblicazione della sua scoperta su un importante settimanale nazionale – ci riferì personalmente. Imprescindibile, ai fini del nostro ragionamento, il dover cominciare dal peccato originale, ossia dal fatto che sia passato per un ricorrente espediente letterario la storiella (narrata dallo stesso Eco in una sua famosa rubrica su un settimanale, nda) di un libro che riproduceva fedelmente un manoscritto del ‘300 di un certo Adso da Melk su una missione affidata al suo maestro, fra’ Guglielmo; libro però «sparito insieme ad un’avvenente polacca» con cui era in viaggio, ragion per cui ciò che rimase in mano all’autore de Il pendolo di Focault fu solo una traduzione di getto trascritta su alcuni quaderni. Espediente o meno, ma senza che nessuno abbia mai avuto il coraggio di contestare ad Eco quanto da lui affermato pubblicamente e perfino le ricerche che fece al riguardo, ecco già una ragione sufficiente a poter ritenere che Il nome della Rosa sia davvero un romanzo scritto basandosi su appunti non precisi che, in assenza di altri indizi o riferimenti storici, non potevano certo consentire al suo autore di identificare con precisione il personaggio nel contesto in cui si muoveva; cosa invece possibile, ma solo molti anni dopo, e cioè quando le ricerche di Gaetano Valente lo hanno permesso attraverso la ricostruzione puntuale della avventurosa vita di Guglielmo di Alnwick, compresa la guida da lui assunta della nostra diocesi prima della sua misteriosa fine. In poche parole, quello che abbiamo oggi a disposizione è un puzzle storico finalmente ricomposto che, grazie alle rigorose descrizioni di quel tempo di un medievista assoluto come Eco combinate con le verità accertate su uno dei più grandi pensatori del ‘300, dà non solo ulteriore fondatezza ai nostri argomenti, ma anche nuova consistenza ad uno dei più grandi racconti sul Medioevo che sia mai stato scritto. Davvero impressionante infatti la coincidenza a posteriori, tra libro e realtà, di date (le vicende narrate da Adso parlano di un viaggio avvenuto intorno al 1327 e la nomina a vescovo di Giovinazzo di Guglielmo risale al 1329) di luoghi (per tutti il Castel Ursino ed il Castel del Monte che parlano in modo inequivocabile di un Sud impossibile da descriversi se non realmente visto ed attraversato) oltre che di personaggi illustri citati nell’opera di Eco: ci troviamo, infatti, «l’amico d’Occam» (Guglielmo d’Ockham) o «il più grande dei maestri, Ruggiero Bacone» (o il doctor Mirabilis come veniva appellato all’epoca) che poi incontriamo di nuovo, nella storia accademica del “nostro” ricostruita dal Valente, in buona compagnia anche con Giovanni Duns Scoto (il Doctor Subtilis poi addirittura beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1993), ovvero la scuola inglese di pensiero che era la più importante del mondo allora conosciuto. Non fu certo poi un caso se William o Guillelmus (come citato in letteratura insieme all’appellativo di bishop of Giovinazzo) che ne faceva parte, ebbe prestigiosi incarichi in mezza Europa, da Oxford a Montpellier e dalla Sorbona di Parigi (dove fu rettore nel 1318) fino a Napoli, prima di avere un mandato come vescovo della nostra diocesi. A prescindere dal fatto che certi particolari non avrebbero che potuto arricchire l’avvincente trama del suo racconto – il che rende ancor meno credibile il fatto che Eco abbia avuto bisogno di far ricorso ad un espediente come il libro sparito per lanciare il suo romanzo – la riprova del tutto è proprio nel fatto che questi precisi dettagli sono in realtà emersi solo successivamente, e cioè a pubblicazione e fama internazionale già acquisita da tempo da “Il nome della rosa”.

La conferma definitiva

Ove già non bastasse quanto sopra, a mettere una pietra tombale sulla controversia che stiamo affrontando è la scoperta, nel 2002, di un’importante pergamena del 1333 (la n. 48 a firma di Symon de Anglia “vicario di fra’ Guglielmo, vescovo di Giovinazzo” come riportato in chiaro) ad opera dello scrupoloso studioso Michele Bonserio che, sia pure con il misurato linguaggio dello storico, ha finalmente e definitivamente potuto concludere che la dimostrazione che Guglielmo di Baskerville e quello di Alnwick non potessero che essere la stessa persona la si poteva quantomeno ricavare per esclusione poiché «all’epoca non c’erano molti frati francescani inglesi in Italia»</i>; né tantomeno, ci permettiamo di aggiungere noi, di una levatura tale da poter essere nominati vescovi da un giorno all’altro come, invece, la appena citata biografia di “Guglielmo l’inglese” spiega da sola. Ed è proprio questa del 2002, in definitiva, la prova cardine che è mancata fino ad allora per togliere ogni possibile dubbio logico e storico alla ricongiunzione in uno dei due Guglielmo della querelle: un ultimo, conclusivo tassello per la ricostruzione dei fatti che non aveva certo a disposizione don Gaetano Valente quando, nel 1999, scrisse l’articolo (portato a corredo di quello pubblicato da La Piazza cui stiamo rispondendo) col quale, dopo oltre un decennio di vana attesa di una qualche dichiarazione in merito da parte di Eco, ha poi deciso di tirarsi definitivamente fuori dalla questione che i suoi studi avevano aperto. Né è difficile capire il perché, visto che avrebbe dovuto assumersi lui da solo la responsabilità di un’attestazione storica così importante, quando invece era diventato più che lampante che Umberto Eco – perché poi andare a toccare un “Nome della rosa” che stava funzionando così bene? – non aveva nessun interesse a farlo. Completamente differente l’atteggiamento del Bonserio (cui si deve, tra gli altri meriti, se la raccolta di pergamene dell’archivio capitolare di Giovinazzo è divenuta un importante riferimento non solo nazionale, nda) che è stato uno dei pochi a credere sin dal primo momento alla verità storica di cui stiamo parlando ed anche a tentare di pubblicizzarla, come pure abbiamo cercato di fare noi: non a caso un nostro viaggio ad hoc a Londra, nel 2004, dove omaggiando una copia dello straordinario calendario del 2000 su Guglielmo di Alnwick (promosso dal Bonserio, e pubblicato a cura del Comune, che gli è valso persino una lettera di ringraziamento da parte della Regina d’Inghilterra Elisabetta II, nda) siamo stati gentilmente ricevuti dal prof. Denis Reidy, noto conferenziere e responsabile della sezione italiana della British Library, che, felice anche della ulteriore conferma trovata nel 2002, non ha esitato a darci la sua piena collaborazione per fornirci altre informazioni e persino la curiosa notizia che il castello di Alnwick «che fra’ Guglielmo avrà sicuramente conosciuto bene» era pure servito per le riprese dei film di Harry Potter. Prima di concludere, sorvolando su altri riscontri analoghi e tentativi a vario titolo, impossibile non riportare almeno il vivo interesse registrato nel nostro incontro con il regista premio Oscar Jean-Jacques Annaud, durante il Bif&st 2015, per la reale vicenda del personaggio interpretato da Sean Connery ed il finale storico legati al suo imperdibile film del 1986 Il nome della rosa. Anche sulla scorta di quel successo e dell’opera che lo ha ispirato (il romanzo italiano dei record con le sue oltre 50 milioni di copie vendute nel mondo) è senz’altro una partita importantissima quella che si sta ora aprendo con le riprese, nel gennaio prossimo, di una serie tv che sarà vista in tutto il mondo e con al centro, chiamiamolo con il suo vero nome, Guglielmo di Alnwick. Una figura già immensa di suo, come abbiamo visto, oltretutto interpretata da un John Turturro da sempre fiero delle sue origini giovinazzesi, tanto che non è difficile desumere che sia stato lui l’ispiratore della importante produzione televisiva di cui stiamo parlando che, scusate se è poco, per tutti annovera anche l’attore Rupert Everett ed un regista, oltre che rinomato documentarista, del calibro di Giacomo Battiato. Non può che dedursene che quello in cantiere non potrà limitarsi ad essere un semplice remake – non avrebbe senso – di un film cult come Il nome della rosa di Annaud, ma qualcosa di inedito, forte sicuramente del valore aggiunto delle vicende documentate di Guglielmo di Alnwick e, magari, pure con il finale spettacolare scritto addirittura dalla storia. Ci hanno pertanto fatto piacere, ma anche quasi sorridere, le dichiarazioni del nostro sindaco circa un suo intervento per «vedere se ci sono i margini per girare alcune scene a Giovinazzo». Per carità ben vengano, grasso che cola, ma ciò che rilancerà la nostra cittadina non è qualche scena girata sul posto, quanto e soprattutto la notizia – ineludibile nella sceneggiatura – che il Guglielmo di Baskerville raccontato da Eco e il coltissimo omonimo di Alnwick, che nel ‘300 predicava nella nostra splendida Cattedrale, sono un solo, unico personaggio. I film e le notizie passano, ma è questa alla fine l’unica verità che conta e che, attaccata per sempre come un nome ad un cognome, spingerà ne “Il nome della rosa” nuovi turisti e visitatori a venire a Giovinazzo a scoprirne storia e bellezza. Di qui la necessità avvertita di dover scendere ancora una volta in campo, sperando di aver spazzato definitivamente via dubbi di ogni genere con questa nostra lunga analisi confortata da fatti e testimonianze dirette. Un dovere civile, in assenza di altre voci e soprattutto considerando che la nostra prima sortita a colloquio con chi ha la delega ufficiale a difendere e promuovere cultura e territorio, ad essere sinceri fino in fondo, non ci ha proprio dato l’impressione sia stata compresa l’importanza di quanto stia succedendo nell’immediato né, tantomeno, rassicurazioni circa una grande visione della città per il futuro. Ancora un bis in idem? Speriamo proprio di no.

Enrico Tedeschi

sabato 4 Novembre 2017

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