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Coltivare il deserto, la missione in Tunisia di Francesco Cantatore

Nicola Palmiotto
Francesco Cantatore
Il volontario giovinazzese per 8 mesi a Tataouine con un progetto che punta sull'agricoltura femminile: «Queste donne sono come le piante del deserto: c'è la forza di non fermarsi e preoccuparsi del modo migliore di avanzare»
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Tataouine è una cittadina del sud della Tunisia che si trova ai piedi del grande mare di sabbia del Sahara. In questo posto, che evoca “una galassia lontana lontana” e che è capace di scenari che tolgono il respiro, da quasi un mese vive Francesco Cantatore, un 28enne giovinazzese cooperante del servizio civile internazionale. «È vero– dice Cantatore-, da queste hanno girato le scene del deserto di Star Wars e hanno lasciato una parte della scenografia come  attrazione turistica. Io sono amante del cinema, non però di Guerre Stellari».

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Eppure qualcosa di Jedi devi possederlo per affrontare per otto mesi una missione che non sembra esattamente delle più facili: sostenere l’agricoltura femminile in una zona pre desertica. Si tratta di “Dreams – donne e giovani in rete”, un progetto di Arcs, l’ong di Arci che opera in campo internazionale.

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«Ci dedichiamo alle donne a maggioranza berbera che vivono nei villaggi per potenziare le loro capacità produttive agricole, tenendo però conto di quelle che sono le origini culturali e i loro valori ancestrali – spiega Cantatore-. Si tratta di rafforzare quello che producono e dare loro supporto, implementare le pratiche sostenibili, senza cioè l’utilizzo di sostanze chimiche, per coltivare e rendere commerciabili questi prodotti: anche l’ambiente è uno dei focus del progetto. Una parte del progetto è dedicata alla realizzazione di luoghi di produzione. Inoltre seguiamo la formazione di queste persone con i partner locali, principalmente l’Ira, l’istituto regioni aride. C’è anche il rafforzamento del turismo rurale, ma dopo l’attentato a Tunisi i flussi turistici ne hanno risentito».

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Francesco, che si occupa di volontariato da circa 10 anni, dapprima nell’ambito sanitario e sociale con il SerMolfetta, è alla sua seconda esperienza internazionale: «Sono stato in Tanzania per due mesi nel 2012 per il servizio volontario europeo. Lì facevamo anche un progetto sull’albinismo, eravamo su un altopiano a Pomerini, nella regione di Iringa».

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Coltivare il deserto

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Diversamente da quanto si potrebbe credere anche nel deserto c’è spazio per l’agricoltura. «Al primo impatto quello che colpisce è l’aridità – afferma il cooperante giovinazzese-. Ti chiedi: “Cosa può crescere nel deserto?”. C’è tanta sabbia e nelle giornate ventose si crea un nuvolone, come quello dello smog da noi. Ma l’aridità è solo apparente; ci si adatta, le stesse piante lo fanno in primis, a vivere in un ambiente che invece è rigogliosissimo. Infatti si coltiva di tutto: dalle arboricole come fichi e fichi d’india, dai quali si realizzano tantissimi prodotti come le confetture e i biscotti, alle piante aromatiche come rosmarino, basilico e menta. Di queste ultime stiamo cercando di potenziare la coltivazione, perché qui sono dediti alla raccolta delle piante spontanee. Poi ci sono le orticole, per esempio cipolle, prezzemolo, carote. A fine mese infatti c’è il “Festival des Ksour”, che sarebbero gli antichi magazzini, nei quali espongono tutti i loro prodotti. Ma la ricchezza di questa terra è incredibile, parlo anche a livello geologico e di architettura, come le case costruite nelle grotte».

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Sorprende anche il fatto che il progetto si dedichi principalmente alle donne. «Nei villaggi sono maggiormente presenti le donne. Gli uomini vanno fuori per lavorare, chi rimane nei villaggi a portare avanti la famiglia sono le donne», aggiunge.

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"Ti siedi su una duna di sabbia. Non vedi niente. Non senti niente. E tuttavia qualcosa brilla in silenzio" (Antoine de Saint-Exupéry)

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Il tutto in un contesto capace di sprigionare un fascino incredibile. «Siamo su un altopiano a ridosso del deserto. Qui nel tempo si sono stanziati i Berberi, che significa uomini liberi, tra di loro però preferiscono chiamarsi Imazighen. Hanno conoscenze plurisecolari, per esempio producono tappeti filati di lana 100% naturali e colorati naturalmente, nei quali riportano il loro simbolismo. Poi piano piano mi sto avvicinando a conoscere la cultura mussulmana. Le cinque preghiere annunciate ogni giorno, il venerdì, che è il giorno più importante dal punto di vista religioso. Ho notato anche l’impegno delle donne che ci stanno mettendo nell’affermazione delle loro capacità, sono sempre più coinvolte ma la cosa bella è che si coinvolgono a loro volta. Si può fare un paragone tra le piante che crescono nel deserto e queste donne: in entrambe c’è la forza di non fermarsi e preoccuparsi del modo migliore per avanzare».

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Ma al di là dell’importanza che il viaggio, l’esperienza e il confronto con culture diverse hanno di per sé, quello che conta per Francesco è anche altro: «Per me è importante spendersi. Direi ai miei coetanei di non spendersi solo per se stessi, ma che le possibilità del volontariato sono tantissime e che adoperarsi per la comunità e per l’ambiente è una delle attenzioni a cui non dobbiamo mai venir meno».

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mercoledì 22 Febbraio 2017

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